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Il riccio del Brambilla

26 febbraio 2015

Confesso: ho gli occhi lucidi mentre leggo l’editoriale del quotidiano online di cronaca locale, a firma del direttore Brambilla. Lucidi per le lacrime che le sue risibili critiche suscitano in me.
Leggo e rido, leggo e rido. Continuo a ridere e non riesco a fermarmi. Fino al punto in cui scrive di un mio godimento paragonabile a quello di un “riccio tibetano”. Qui mi fermo.
Per sempre.
Lo prometto: non leggerò più le comiche elucubrazioni del Brambilla. Per non morire dalle risate.

 


 

Merateonline > Editoriale > Scritto Giovedì 26 febbraio 2015 alle 18:58

Fusioni: Fragomeli minaccia, le imporremo da Roma. Il proconsole renziano ripete la lezione come un disco rotto. Ma per il momento solo 12 su 1546 comuni lombardi si sono uniti

L’entusiasmo con cui l’onorevole Gian Mario Fragomeli parla del PD renziano, fa persino tenerezza, assomiglia a quello del bambino che racconta ai compagni, con gli occhi lucidi, quanto è bravo e bello il suo papà. O al tifoso sfegatato che parlando della squadra del cuore declina il pronome personale alla prima plurale, facendo propria la gloria altrui. E’ un fideista, a Lecco segue ciecamente le indicazioni del partito sul servizio idrico e nonostante il giudizio limpido della Corte dei Conti continua a sostenere che tale servizio può essere affidato a una società di secondo livello (perché così vuole il PD lecchese e il sindaco di Lecco Brivio in particolare); a Roma onora il verbo renziano, trasferendolo in provincia, che si può riassumere semplicemente nel verbo: accentrare. “Abbiamo rottamato il Senato” esulta l’ex sindaco di Cassago e dipendente della provincia di Milano (per dire che una fabbrica forse da dentro non l’ha vista mai). Tradotto: Renzi, Boschi e Madia hanno cancellato (o tentano di farlo) quel che hanno scritto nel 1946 Calamandrei, De Gasperi, Einaudi (e già il parallelismo provoca capogiri) ma non la dice tutta: omette cioè che l’assemblea resta, soltanto che a eleggerne i membri non saranno più i cittadini. La stessa manovra varata per le elezioni del consiglio provinciale. Pochi sanno che il Consiglio è stato eletto qualche mese fa anche a Lecco. Ma i cittadini non sono stati chiamati alle urne. No, a votare ci sono andati soltanto i consiglieri comunali. Il popolo è stato escluso. Non bastasse Fragomeli ha calato l’asso: sarà Roma a imporre le fusioni tra i comuni. Esattamente come accadde nel 1928 ad opera di Benito Mussolini che, tra tanti danni, oltre alla battute ha fatto vedere qualcosa di concreto a differenza del battutaro toscano. Il bello è che l’esponente di sinistra anziché preoccuparsi per questo inquietante ritorno al passato, gode come un riccio tibetano scandendo queste parole davanti ai sindaci seduti attoniti (non tutti, Brivio di Osnago ad esempio applaudiva come uno scalmanato) accorsi a sentire le mirabolanti novità del decreto Delrio (che non si capisce come riesca a coniugare l’assistenza a Renzi e alle giovinette del suo cerchio magico con quella ai nove figli). L’on.Fragomeli non sta più nella pelle, a differenza della assai più accorta Veronica Tentori (merito del padre?) di porsi come il proconsole lecchese dell’uomo solo al comando. Quindi non si perde nell’ascoltare le ragioni della Legge (vedi la vicenda dell’acqua) né quelle di sindaci e cittadini spaventati dall’idea di fusioni forzate. “Abbiamo rottamato” sibila soave, e il volto si distende in un sorriso perverso. Come a dire, adesso cambiamo noi l’Italia. Già. Purtroppo nel lecchese questo sibilo trova orecchie aperte. La prova? Eccola. Dal 2000 al 2015 soltanto 12 dei 1546 comuni lombardi hanno scelto di fondersi fra loro. E ben 4 sono ubicati nella nostra provincia. La strada fu aperta nel 2011 da Gravedona, provincia di Como che aggregando di fatto Germasino (245 abitanti) e Consiglio di Rumo (1.197 abitanti) diede vita al comune di Gravedona e Uniti. Nessuna fusione negli anni 2012 e 2013. Poi nel 2014 si sono uniti Borgoforte (3.544 abitanti) in provincia di Mantova a Virgilio (11.282 abitanti) dando vita a Borgovirgilio. E ancora nel 2014 c’è stata la fusione tra Verderio Superiore e Inferiore. Nello stesso anno si sono fusi Maccagno (2.041 abitanti) in provincia di Varese con Pino (222 abitanti) e Veddesca (300 abitanti). Quindi, nel 2015 abbiamo assistito alla azzoppata vittoria del si nel referendum per la fusione di Perego e Rovagnate da cui è nato il nuovo comune “la valletta Brianza”. Dunque, se questa è la storia ci vorrà davvero un ordine imperiale per convincere i comuni a fondersi.

Ma vogliamo chiudere questa breve riflessione con due parole di commento all’intervista fatta da merateonline al sindaco di Verderio Alessandro Origo. Il primo cittadino, già lo era da tempo immemore di Inferiore, parla di riduzione dell’aliquota Imu dopo la fusione, da 0,80% a 0,78%. Naturalmente questo vale solo per il comune che aveva l’aliquota superiore. E poi possiamo immaginare che risparmio con un meno 0,02%. Peraltro lo stesso Origo ammette che per i redditi superiori l’aliquota dell’addizionale Irpef è passata da 0,2 a 0,3%. E qui si sente di sicuro. La fusione, aggiunge, consente di non sottostare ai vincoli del patto di stabilità per 5 anni e quindi di poter spendere i soldi in tesoreria. Ma sono soldi della gente di Verderio, non contributi o trasferimenti statali. Infine, chiosa Origo, per dieci anni otterremo il 20% in più dei trasferimento ordinari 2010. Nel 2015, 257mila euro circa. Posto che lo stesso Sindaco nutre dubbi sul fatto che lo Stato davvero corrisponderà per dieci anni questo contributo extra di che cosa si tratta se non del differenziale che ogni cittadino di Verderio versa allo Stato come contributo di solidarietà, ossia 5.511 euro pro capite? Tra l’altro per approntare il nuovo municipio sono stati stanziati 340mila euro. Quindi il contributo del 2015 è già stato speso. Ma a parte ciò ha un senso ragionare ancora così? Questi territori sono cresciuti vendendo i propri patrimoni, ossia rendendo edificabili le aree per incassare gli oneri di urbanizzazione. Inferiore è passato da 1.396 abitanti del 1951 a 3.051 prima della fusione; Superiore da 1.140 a 2.673. Più della metà della superficie comunale è urbanizzata; cinquant’anni fa non si arrivava al 20%. E ora che altro terreno da svendere a libbre non ce n’è si cede tutto il comune. In altre parole finita la svendita di mobili, arredi e argenteria si cede anche il castello. E buonanotte. Di questo passo ci domandiamo che cosa ancora dobbiamo aspettarci. Anziché ingaggiare battaglia con lo stato centrale affinché riconosca l’autonomia dei comuni sancita dalla Costituzione (art. 5 correlato agli articoli 2 e 3) tanti nostri amministratori si prostrano davanti al rottamatore diventandone i paladini locali con l’alibi dell’economia di scala. Invece ci porteranno ad abitare in grandi agglomerati, sempre meno a misura d’uomo, quartieri dormitorio dove il potere è sempre più lontano e la partecipazione alla vita sociale e politica dei cittadini, auspicata dai Padri Costituenti, sempre meno possibile. Un bel risultato. Il solo, del resto che si ottiene quando la voce del partito/padrone prevale su quella della gente comune.

Claudio Brambilla

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